"Belief" credere per crescere, Andrea D'Aquino racconta lo Squad di Paulo Sousa a Poggio all'Agnello

Stampa

baratti foto

 

Nel periodo dal 28 agosto al 13 settembre, il coach portoghese Paulo Sousa, ha deciso di stabilirsi a Poggio dell’Agnello per preparare con il suo Squad la Grand Final di Rotterdam e le ultime World Cup europee della stagione, Karlovy Vary e Huelva.

L’opportunità di avere in Italia un gruppo di atleti quali Summer Cook e Taylor Spivey, Claire Michel, Yuko Takahsahi e Matt McIlleroy, e di poter affiancare un coach di alto livello come Paulo Sousa, è stata colta al volo da Fitri, che ha deciso, nell’ambito del Progetto di Sviluppo per Tecnici di Alto Livello, di offrire la possibilità ad alcuni tecnici di affiancare il coach americano per circa 1 settimana, e ad alcuni atleti di aggregarsi allo Squad.

Opportunità colta al volo dal tecnico Andrea D’Aquino, che con gli atleti Giorgia Priarone, Massimo De Ponti e Gregory Barnaby hanno potuto lavorare per oltre una settimana con alcuni dei migliori atleti al mondo e con un coach che soprattutto nelle ultime stagioni ha portato diversi atleti, non solo americani, ai massimi livelli internazionali.

Abbiamo chiesto ad Andrea D’Aquino di illustrarci brevemente questa esperienza, evidenziando quelli che sono stati secondo lui gli aspetti più interessanti del lavoro svolto, quali insegnamenti ha potuto trarre dal partecipare quotidianamente al lavoro di uno Squad di alto livello internazionale.

“Dal 6 al 13 Aprile ho avuto l’opportunità di affiancare Paulo Sousa nel suo quotidiano lavoro di allenatore.

Avevo conosciuto Paulo al coach meeting di Cagliari; già allora nelle poche parole scambiate prima della gara  di Coppa del Mondo, una mi rimase subito impressa: belief.

Riuscire a trasmettere questo pensiero agli atleti, a mio parere, è uno degli obiettivi di essere coach, perché alla fine  saranno loro stessi gli artefici della propria performance il giorno della gara.

Belief significa credere fortemente nel processo di crescita, un viaggio lungo, con verifiche importanti, ma che porta al raggiungimento della massima performance e a far sì che l’atleta possa esprimere tutto il suo potenziale.

Paulo segue uno squad internazionale con atleti del calibro di Cook, Spivey, Michel, Takahashi, Mcelroy capaci di podi in WTS e WC.

Il livello di questo squad è evidente subito dal primo giorno: regole ben definite, comportamenti da professionisti, e allenamenti svolti con il piglio tipico di chi vuole arrivare in alto.

La leadership di Paulo è netta, e questo permette agli atleti di focalizzarsi sull’esecuzione dell’allenamento e sulla costruzione del proprio processo di continua crescita; la presenza del coach è costante durante tutto il camp, solo alcuni allenamenti di recupero sono lasciati in autogestione per lasciare agli atleti i propri spazi.

Questo environment consente ad atleti di alto livello di allenarsi assieme, permettendo ad ogni individualità di formare un ambiente di lavoro volto al raggiungimento della massima performance. 

La forza del gruppo è trainante nel raggiungimento degli obiettivi individuali. Questa è la peculiarità di uno squad, dove vi è anche una diversificazione del carico di lavoro a seconda dello stato di forma e degli obiettivi agonistici di ogni singolo atleta (capita a volte che un coach segua quindi anche 5 allenamenti nella stessa giornata)

La differenza netta tra i raduni collegiali o permanenti, a cui siamo abituati, è il fatto che allenarsi in uno squad permanente non è un obbligo per nessuno, ma viceversa una scelta. Tutti sappiamo che il scegliere una strada di propria volontà porta di per sé un impegno maggiore, una spinta nel raggiugere gli obiettivi comuni e un totale commitment. Nello stesso modo il coach ha la possibilità di instaurare un rapporto di crescita con ogni singolo atleta in maniera adeguata e più efficace.

Il leitmotiv di questa settimana è stato il cancellare la parola “problem” da ogni conversazione. “Don’t talk me about the problems, Andrea. Bring me solutions”

Parlare di un problema porta di per sé ad un vicolo cieco perché lo si affronta come una cosa irreversibile, difficile da cambiare; viceversa parlare di soluzioni o tentativi per risolvere una determinata tematica, cambia la prospettiva e la direzione del processo.

Tali dinamiche comportamentali sono a mio avviso molto sottovalutate, ma rappresentano la base su cui costruire il processo che porta all’alto livello.”

E dato che saper cogliere un’opportunità, apre spesso le porte a nuove opportunità…state sintonizzati…to be continued! 

BARATTI GRUPPO sett 2017