World Triathlon Cup, Jonathan Brownlee a cuore aperto

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La vittoria nella World Triathlon Cup di Arzachena, con bis dopo quella del 2021, è solo l'ultima straordinaria impresa di un atleta come Jonathan Brownlee che attualmente e senza tema di smentita, è uno dei personaggi più rappresentativi del triathlon mondiale.

Campione olimpico nella staffetta mista a Tokyo, medaglia d'argento a Rio 2016 e bronzo a Londra 2012, oltre che campione del mondo individuale nello stesso anno e con un palmares talmente lungo che è davvero impossibile riportare per intero, questo straordinario atleta che ha appena compiuto trentadue anni (è nato il 30 aprile 1990) e che non ha perso un briciolo della sua spontaneità e della disponibilità che spesso è difficile trovare in giovani decisamente meno ricchi di talento, ha accettato di raccontarsi in una chiacchierata con noi della Federazione Italiana Triathlon.

Spiegando, con semplicità disarmante che aiuta a comprendere, come ci si deve confrontare con lo sport e, più in generale con la vita. A partire da questo: “Il mio mindset, grazie alle esperienze che solo il triathlon ti fa vivere ed a quelle legate ai Giochi Olimpici – racconta il campione britannico – è cambiato molto durante la mia carriera, passando da quello di un giovane atleta con molti obiettivi, grandi speranze e momentanee certezze, a quello di un uomo con più consapevolezza di sé, dei propri mezzi e limiti. E con la voglia di darmi nuovi obiettivi”.

Brownlee

E l'Italia, in questo percorso, ha recitato un ruolo importante: “È vero – conferma Brownlee – perché dal 2010 al 2014 ero andato a podio praticamente in tutte le gare a cui partecipavo e questa era diventata quasi una garanzia: io gareggiavo, vincevo o ero tra i primi e pensavo alla competizione successiva senza particolari tensioni. Poi le cose sono cambiate e salire sul podio non è stato più così normale ed anzi per un po' di tempo non è proprio accaduto. Poi l'anno scorso sono venuto qui ad Arzachena, ho vinto e devo dirti che, per quanto possa sembrare strano, è stato uno dei momenti più emozionanti della mia carriera, perché mi ha dato la speranza di poter andare alle Olimpiadi di Tokyo e fare bene, cosa che si è poi verificata”.

Ed ecco il cambio di prospettiva: “Dopo aver vinto tutte e tre le medaglie olimpiche – racconta – il mio atteggiamento, ma non certo il mio amore, nei confronti del triathlon, è cambiato. Ora il mio obiettivo principale è quello di divertirmi in gara, godermela fino in fondo  questo è uno dei motivi per i quali sono tornato qui ad Arzachena, e lavorare per poter restare ancora su alti livelli prestazionali, perché sono consapevole che il tempo passa anche per me e c'è bisogno di un impegno sempre maggiore”.

Grazie anche ad una “nuova” vita privata: “Certamente – sì – perché avere una famiglia, composta dalla mia fidanzata con la quale convivo, e da due cani, mi ha dato un equilibrio che mi permette di lavorare con grande serenità e con un impegno proporzionale alle esigenze ed agli obiettivi di cui ti parlavo poco fa”.

A proposito di impegno, è interessante riportare un aneddoto che Jonathan Brownlee ha raccontato nel corso dell'incontro e che probabilmente permette di capire meglio come si riesca a rimanere per tanti anni, al netto delle qualità che la natura mette a disposizione, ai vertici mondiali : “Quando ho vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra, mi hanno riportato a casa, a Leeds, in elicottero ed io ho trovato tanta gente che mi aspettava per festeggiarmi. È stato molto bello ed emozionante, ma la mattina dopo ero già in piscina ad allenarmi, perché il mio allenatore non mi ha certo concesso un giorno di vacanza”.

Proprio quella esperienza, peraltro, Jonathan ha confessato che avrebbe il desiderio di riviverla, “perché non me la sono goduta fino in fondo. Ero stanchissimo e la pressione psicologica determinata dal 'dover' fare risultato in casa, combinata con la stanchezza fisica a fine gara, hanno fatto sì che sul podio avessi solo voglia di scappare in albergo a riposare. Peccato. Se potessi tornerei davvero lì a godermela”.

Podio uomini

'Famiglia' è un'altra parola importante nella vita di Brownlee: “Sono cresciuto in una nella quale il triathlon era, ed è, una componente fondamentale. Mio fratello Alistair (due titoli olimpici, due mondiali e due europei; ndr) essendo più grande mi ha insegnato e mi ha aiutato molto. Per me lui è stato un modello ed anche quando è capitato di essere in competizione tra di noi, ovviamente il senso di appartenenza familiare non è mai venuto meno”.

Emozionante, anche per lui, a questo proposito è stato ricordare l'episodio del mondiale 2016 di Cozumel, in Messico, quando Jonathan Brownlee era in testa, ma fu vittima di un colpo di calore che gli stava per costare il ritiro a pochi metri dall'arrivo e Alistair “mi ha letteralmente trascinato fino al traguardo, aiutandomi a concludere la gara al secondo posto, cosa che avrebbe fatto per qualsiasi altro concorrente nelle stesse condizioni e facendomi comprendere fino in fondo quanto i triatleti siano speciali. Anche quella è un'esperienza indimenticabile”.

E che magari ha contribuito al suo diverso approccio con il nostro sport: “Essere stato 'il fratello piccolo', a cui insegnare ed aiutare, mi ha fatto comprendere quanto importante possa essere trasmettere valori e passioni ai più giovani ed oggi che posso farlo, mi piace dare una mano, pur nella competitività insita nel mondo delle gare, agli atleti più giovani, ai quali magari dare dei consigli e contribuire alla loro crescita”.

Tanto che, proprio insieme ad Alistair, Jonathan ha dato vita alla Brownlee Foundation, che aiuta i giovani ad avvicinarsi al triathlon e che solo nelle ultime due settimane ha portato più di ottomila bambini a fare la prima esperienza ludica di conoscenza di uno sport “dal quale ho avuto tanto – spiega il campione britannico – ed al quale, almeno mi piace pensarlo, posso restituire qualcosa in termini di esperienza”.

Brownlee e Giubilei

Cosa che ha fatto anche a Tokyo: “Ero certamente tra i 'meno giovani' – racconta divertito – ed era una delle prime volte in cui mi accadeva, ma è stato bello giocare un po' a fare il 'mentore' di tanti ragazzi con grandi potenzialità, ma bisognosi di una guida che li accompagnasse senza remore o reticenze. Un ruolo che, lo confesso, mi piace molto, anche se non dimentico mai che, poi, nel triathlon arriva il momento in cui si gareggia e lì, ci devi mettere del tuo”.

Partendo da questo è stato automatico chiedergli di fare un paragone tra il triathlon visto dalla Gran Bretagna e dall'Italia e la risposta di Jonathan Brownlee è stata illuminante: “Prima dell'arrivo di mio fratello Alistair nel panorama mondiale, nessuno credeva che il nostro Paese potesse raggiungere livelli così elevati. Erano tutti convinti che fosse necessario essere nati in Australia o in qualsiasi altro Paese dove fosse possibile allenarsi per tutto l'anno al sole ed al caldo e magari – ha detto ridendo – ci si depilasse le gambe”.

Poi però tutto è cambiato “e questo può avvenire anche qui da voi in Italia. Serve un atleta in grado di stravolgere gli equilibri, fungere da apripista e che possa diventare un faro verso quale i giovani guardino con l'obiettivo di raggiungerlo ed il lavoro che state facendo mi sembra finalizzato anche a questo. Ovviamente – ha concluso scherzando, ma forse non troppo – spero che questo accada dopo che io avrò smesso di gareggiare”.

Foto: FITRI Media - Tiziano Ballabio